19 Aprile 2024 - Ore
Sviluppo e Lavoro

Bari, dall’1 al 20 settembre la prima edizione del festival biennale dell’Architettura

Trentadue eventi tra mostre, lectio magistralis, conferenze, workshop, installazioni e performance

Venti giorni, più di 50 ospiti nazionali e internazionali, oltre 32 eventi fra mostre, lectio magistralis, conferenze, workshop, installazioni e performance: a Bari, dal 1° al 20 settembre 2021, si terrà la prima edizione del BiArch – Bari International Archifestival.

Il progetto è vincitore del bando “Festival dell’Architettura”, promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura, grazie a una progettualità molto ampia che ha coinvolto stakeholder istituzionali quali enti pubblici, università, fondazioni, ordini professionali e rappresentanti della cittadinanza attiva, sollecitando la partecipazione e il protagonismo civile.

BiArch si muoverà contemporaneamente su due diversi piani con l’obiettivo di coinvolgere da una parte un pubblico esperto di professionisti e studiosi, dall’altra tutta la cittadinanza per attivare così un percorso di riflessione collettiva condivisa dal quale possa scaturire una domanda consapevole di città e di una nuova qualità della vita urbana.

Per questo il festival coinvolgerà l’intera città, dal centro alle periferie, e i suoi principali spazi culturali ed espositivi, alcuni dei quali restituiti nel recente passato alla cittadinanza come il Teatro Margherita, l’ex Palazzo della Provincia, il Fortino Sant’Antonio, Spazio Murat, Spazio 13, l’Officina degli Esordi, l’ex Manifattura Tabacchi, gli spazi dell’Autorità di Sistema Portuale dell’Adriatico Meridionale, l’ex Arena Moderno; e ancora la Casa delle Culture, il Castello di Ceglie del Campo, piazza Diaz, corso Mazzini e largo Sorrentino. Saranno coinvolti anche spazi privati della città quali gallerie, studi, esercizi commerciali che potranno ospitare eventi temporanei legati al mondo della cultura urbana.

Tre le sezioni in cui si articola il Festival: «Margini – L’architettura e le ferite della geografia», con eventi dedicati alle potenzialità inespresse dello spazio costiero o periferico rurale; «Confini – Lo spazio visto da altre terre», che si concentrerà su esperimenti di riattivazione urbana raccontati attraverso i linguaggi delle arti visive e performative; «Frontiere – Lo spazio di tutti», un focus sui processi di appropriazione degli spazi, dei beni comuni e della coabitazione.

 

Nel Teatro Margherita sarà allestita la Casa del Festival, che ospiterà le 10 Lectio Magistralis tenute, tra gli altri, da Anne Lacaton, vincitrice del prestigioso Pritzker Prize 2021, Elizabeth DillerAmos GitaiBernard Khoury, Guido Guidi, Giandomenico Amendola, Francesco Moschini, João Nunes, Marco Casamonti, Andreas Kipar.

Quattro mostre rifletteranno i temi cardinali del festival: le prime due, «Moderno Desiderio. Fotografia e immaginario popolare. Terra di Bari 1945/2021», a cura di Luca Molinari, che racconta le trasformazioni urbane della città con l’occhio di tre generazioni di fotografi, e «The Game», a cura di Joseph Grima, un’indagine sull’architettura del controllo delle informazioni nel contesto del tardo mercato capitalistico, si terranno negli spazi del Teatro Margherita; mentre «Margini», nell’ex Palazzo della Provincia, a cura del DICAR del Politecnico di Bari, indaga le cesure interne, i bordi costieri e rurali degli spazi periferici della città e «Forensic ArchitecturePratiche di verifica», nello Spazio Murat, presenta quattro casi emblematici analizzati dallo studio londinese Forensic sui temi della militarizzazione del bacino del Mediterraneo.

Il programma degli eventi conta inoltre una serie di conferenze, ospitate all’interno del Teatro

Margherita; installazioni temporanee diffuse in città e all’interno del cantiere evento alla ex Manifattura dei Tabacchi; performance audiovisive negli spazi presi in cura dalle comunità di cittadini; workshop sul rapporto della città col suo spazio costiero e periferico e sui temi dei beni comuni.

 

Per partecipare ai workshop, è necessario iscriversi entro il prossimo 16 luglio al form già disponibile sul sito web del festival www.biarch.org.

Sul sito è disponibile anche la call, anch’essa con scadenza 16 luglio, rivolta ad associazioni, esercizi commerciali, gallerie, studi professionali e singoli cittadini per la realizzazione di eventi autopromossi e diffusi in tutta la città nell’ambito del FUORIFESTIVAL.

Gli eventi del BiArch saranno tutti a ingresso gratuito e contingentato su prenotazione, nel rispetto delle normative anti-Covid19; chi non dovesse riuscire a prenotarsi per tempo sarà inserito in una lista d’attesa.

Per rimanere informati e ricevere tutti gli aggiornamenti sul BiArch sarà attivata anche una newsletter: per iscriversi è sufficiente visitare il sito www.biarch.org.

 

Il progetto è promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura, prodotto dalla Città di Bari, co-finanziato da Regione Puglia PugliaPromozione e Apulia Film Commission; main sponsor dell’evento Senaf, Tecniche Nuove, Barili, Tecnoacciai, GVM care&research; media partner Area e Archetipo.

 

 

BRIEF

Bari è una città euromediterranea la cui immagine è quella di una concrezione antropica protesa

sull’Adriatico meridionale e circondata, sul versante interno, da una densa piana di uliveti, degradante verso la costa.

Per la sua configurazione, a un tempo ben ancorata al tacco del continente ma esposta ai molti venti d’Oriente, ha sempre occupato il ruolo strategico di porta dell’Europa greca, balcanica e russa, intessendo legami profondi con quei popoli, basati su comuni tracciati di spiritualità e cultura e resi possibili dalla naturale vocazione all’accoglienza del tessuto sociale del territorio.

La Bari contemporanea è sospesa tra due anime: una, quella della lentezza meridiana delle numerose contraddizioni, che si erge però a baluardo contro la deculturazione che è effetto collaterale della modernizzazione; l’altra, che sa amare la velocità e il futuro, che guarda all’Europa quale riferimento ideale e idealizzato.

L’identità della città, oggi, ha scelto di non rinunciare a questi due mondi liminari, fondandosi nel mezzo per governarli entrambi. La sua evoluzione è proiettata verso il consolidamento di un’immagine matura e complessa, che accresce la consapevolezza delle comunità verso il proprio diritto alla città, e dunque verso la possibilità di porre domande di territorio più compiute. E che, allo stesso tempo, semina una nuova stagione di progettualità strategiche permeate da una visione di sostenibilità unitaria e basata sull’idea che a quel diritto delle comunità corrisponda specularmente il dovere delle città di porsi a sostegno dei più deboli, di fornire riconoscimento alle diverse condizioni di marginalità, di lavorare all’accoglienza delle vittime di processi di esclusione e di fornire, a tutti, delle risposte.

L’architettura e l’urbanistica hanno una responsabilità latente in questo processo. Per questo, è emersa la necessità di un Festival dell’Architettura che affronti i temi della trasformazione urbana e del territorio investendo una platea molto più vasta di quella composta dai soli addetti ai lavori e assumendo una dimensione transdisciplinare che integra domini esterni quali l’economia, la tutela medioambientale, il civismo e le questioni sociali, le arti e le scienze.

Per farlo, si è scelto un tema trasversale e metaforico che interpreti le specificità felici e i grandi limiti del territorio che ospiterà il festival, ma al contempo si riconnetta a un discorso urgente e globale che parla a tutti, nessuno escluso.

“Margini, confini, frontiere” è quindi la suggestione scelta per il Festival dell’architettura che la Città di Bari formula quale risposta alle premesse culturali e alle dinamiche locali e globali in atto. Frontiere, margini e confini sono dispositivi geopolitici, culturali, disciplinari e cognitivi che incidono sulle discipline del progetto sotto svariati punti di vista, producendo talvolta i più interessanti fenomeni di innovazione culturale, sociale e ambientale urbana, proprio sotto i nostri occhi.

 

SEZIONE MARGINI – l’architettura e le ferite della geografia

La fondazione delle città ha sempre costituito un atto eminentemente geografico. Che siano sorte in prossimità di margini naturali o politici per sfruttarne le possibilità, o al contrario, che si siano tenute a distanza di sicurezza per evitarne gli intrinseci pericoli, il rapporto delle città con i molti margini offerti dal territorio circostante si è in ogni caso sempre conformato come una relazione tesa e biunivoca.

Con l’avvento della città moderna e della scala metropolitana, la crescita talvolta smisurata delle infrastrutture necessarie a innervare il territorio per connetterlo in maniera sempre più rapida ed efficiente, in accordo con flussi globali di merci, denaro, persone e informazioni, ha finito, talvolta, per costruire paradossalmente nuove, violente cesure del paesaggio e ferite socioeconomiche con ricadute talvolta pesanti sulla dimensione urbana.

In questo scenario, le città mediterranee costituiscono un caso studio esemplare. A differenza della sconfinata estensione dell’oceano, il mar Mediterraneo ha storicamente rappresentato un luogo comunitario di eccellenza – suggellato dall’appellativo nostrum – dove le culture irriducibili dei popoli che vi si affacciano hanno trovato un terreno comune di conflitto e, soprattutto, di contaminazione.

La storicizzazione dei fenomeni di ibridazione culturale ha reso avvezze le città collocate sulle rive del Mediterraneo ai fenomeni tipici delle condizioni di margine, dominate dall’ambivalenza tra il confronto col diverso e il terreno di conoscenza e innovazione in cui si sperimenta il contatto e l’incontro con le culture dissimili.

Le città della costa mediterranea hanno sviluppato costitutivamente, ad esempio nei porti, i luoghi fisici in cui tali relazioni di interscambio si esplicitano, inducendo trasformazioni che si condensano nel proprio affaccio al mare, nei luoghi di approdo, e pervasivamente si diffondono negli spazi della città costituendo innumerevoli margini ricompresi nel denso tessuto insediativo urbano. A questa categoria di luoghi di accumulazione dei fenomeni ricorrenti nelle condizioni di bordo, appartengono anche i margini interni della città nella sua relazione con le infrastrutture di trasporto su terra, particolarmente quelle ferroviarie che, quasi sempre parallele alla linea di costa, hanno agito sulla crescita urbana come fattore di inevitabile ostacolo, generando alterazioni nei tessuti insediativi tutt’ora per lo più lontane dall’essere addomesticate e, per questo, meritevoli di attenzione.

Infine, un ulteriore elemento di interesse si rintraccia anche dei margini “profondi” tra le città della Puglia centrale e il territorio rurale che, nonostante gli effetti di metropolizzazione del territorio e di diffusione insediativa, hanno conservato una configurazione fortemente identitaria e una differenziazione netta dai tessuti urbanizzati, realizzando una condizione periferica decisamente anomala, perché equivalente a una disponibilità paradossalmente maggiore di valori qualitativi latenti in termini di qualità della vita e di fruizione del paesaggio.

A questa sezione appartengono quindi attività dedicate al racconto, all’analisi e alla produzione laboratoriale di prospettive di azione nei contesti, come quelli pugliesi, dominati da cesure irrisolte dalle infrastrutture portuali e logistiche in relazione alla vita sulla costa, o dalle potenzialità non ancora espresse dall’eccezionalità di un rapporto di margine urbano-rurale mutuamente rispettoso e ancora conservativo del valore intrinseco del paesaggio di frontiera.

 

SEZIONE CONFINI – Lo spazio visto da altre terre

Nella sua lunga storia, e particolarmente nella sua storia occidentale moderna, l’architettura ha intessuto con le arti visive e performative, l’artigianato e le lettere, relazioni di alterna fortuna e intensità, talvolta ibridandosi felicemente con esse, talvolta rinnegandole nel nome di una propria pretesa autonomia.

Oggi, le forme dell’esperienza dello spazio e delle pratiche di vita quotidiana sembrano mostrare come una più conscia domanda di città e, spesso, le risposte più interessanti a questa domanda, si formino proprio dove l’immaginario che le anima riesce a nutrirsi di un pubblico e di culture prossime a quelle del progetto, ma non necessariamente incluse classicamente nel suoi confini disciplinari. In un simile contesto, emerge l’urgenza di una revisione metodologica e disciplinare del significato di qualità in architettura e, di conseguenza, dell’elaborazione di un manifesto culturale che indirizzi i nuovi confini dell’innovazione nelle materie del progetto.

In questa sezione, si fa spazio a esperimenti di costruzione di immaginari derivanti dalle arti visive (cinema, fotografia, video, ecc.) e di restituzione in processi di riattivazione urbana attraverso arte pubblica, installazioni, arti performative, in grado di porsi come placemakers arricchendo di attributi liminari lo spettro classico dell’architettura, nella sfida alla costruzione di inediti e preziosi valori spaziali, particolarmente in contesti urbani ipo-significanti, che attendono da tempo nuove interpretazioni.

 

SEZIONE FRONTIERE – Lo spazio di tutti

Oggi, qualsiasi approccio verso un’educazione collettiva alla rigenerazione urbana che sia culturalmente, socialmente ed ecologicamente sostenibile, non può prescindere dalla consapevolezza dell’urgenza di un “diritto alla città” che parta da una visione di città più spinta verso la dimensione pubblica degli usi e degli accessi (allo spazio, alla casa, ai servizi, eccetera).

Naturalmente, già da tempo numerose dinamiche sociali che è possibile definire come appartenenti a un uso pubblico dello spazio urbano hanno cominciato a manifestarsi anche in luoghi di proprietà non pubblica dando origine alla nozione di “terzo luogo”. Per questo, è di particolare interesse osservare le diverse forme che la negoziazione tra gli usi (privati o pubblici) dello spazio urbano e il suo statuto di proprietà (privato o pubblico) assume nel tempo, poiché tale negoziazione si evolve insieme al concetto complesso di frontiera che sussiste tra l’uno e l’altro ambito, costituendo materia di grande importanza per lo sviluppo di una contemporanea cultura del progetto.

Ad aggiungere complessità e interesse a tale quadro la dimensione della temporaneità degli usi (variabili a velocità tali che l’architettura non può seguirli attraverso i meccanismi gestionali consueti), le dinamiche economiche instabili e lo scarso dinamismo della proprietà pubblica, che stanno agendo come enzimi catalizzatori sui contorni di quest’ultima, facendo rientrare nella disponibilità collettiva spazi di proprietà privata che però finiscono per essere governati attraverso dinamiche del tutto analoghe a quelle dello spazio pubblico.

Dati i loro contorni mutevoli, simili fenomeni di trasformazione, per metodi di attivazione, soggetti promotori, risorse impiegate, e non ultimo per le tipologie stesse degli spazi coinvolti, non appartengono alle consuetudini per cui gli stessi addetti ai lavori sono formati, e tuttavia sono caratterizzati da un portato di innovazione molto consistente, che permette loro sempre più spesso di assumere un ruolo fondamentale nei processi di capacitazione delle comunità locali.

© Riproduzione riservata

Altro in Sviluppo e Lavoro

Altri Articoli di

Menu