I concerti del Politecnico: si prosegue il 2 maggio con 'Contaminazioni. Punti di vista non scontati'

L’incontro di vite animate da due fuochi è “L'Estro
Armonico del Poliba”. Musicisti che non son semplicemente tali, in quanto la
loro formazione artistica in Conservatorio è maturata di pari passo a quella
scientifica presso il Politecnico di Bari. Ad unirli c’è però molto più del
semplice desiderio di far incrociare, una volta tanto, le proprie due vite
parallele. Oltre, c’è la voglia di perseguire un ideale di crescita continua ed
ampio raggio che non tema, ma anzi esalti il concetto di “contaminazione” e che
non faccia della cultura una camera a compartimenti stagni, ma un “open-space”.
Difficile immaginare un campo più fertile, su cui tutto ciò possa attecchire e
fiorire, di quello di un'Università, soprattutto se il terreno su cui essa si
poggia è quello del nostro Bel Paese. In questa serata “L'Estro Armonico del
Poliba” ci invita a lasciare gli ormeggi in un viaggio verso porti solo
lontanamente conosciuti, dimenticandosi della téchne che muove i remi, pur
necessari a ravvivare l’andatura, e a lasciarsi trascinare dalle ali
dell’interpretazione, per varcare le colonne della “tranquilla” routine
quotidiana, in un volo, solo in apparenza, folle. L’invito, secondo il modello
di una coscienza interpretativa “ermeneuticamente” (o “scientificamente”, se
preferite) educata, è quello di essere disposti a non fermarsi ad un certo
punto nel percorso verso la comprensione, delimitando le proprie “pre-attese”.
La scientificità della ricerca si realizza nella misura in cui i “pre-concetti”
vengono via via rinnovati e sostituiti nel corso del lavoro di interpretazione,
in modo sempre più adeguato e sempre più in sintonia con l’oggetto che viene
indagato. Solo così l’intrusione contaminatrice di elementi apparentemente
estranei all’oggetto del discorso potrà essere pienamente apprezzata. Liberi da
tali catene, si arriva a comprendere come elementi in antitesi secondo propria
natura, e per assiomatica definizione, possano coesistere in una pacifica lotta
che scuote l’ascoltatore e lo conduce verso un cambio totale di prospettive. È
questo l’intento del “Divertissement” di Igor Frolov, brano di apertura della
serata, che disvela, da subito e per mezzo del linguaggio musicale stesso, gli
intenti della serata. Giunti ad un nuovo equilibrio, meno “locale” e più
“universale” di quello comune di partenza, ci si può allora avvicinare con
occhi nuovi ad autori del recente così come dell’antico passato, senza remora
alcuna, a patto che si sia guidati da uno spirito critico che una mente
“scientifica” non può non aver maturato. Un animo così preparato custodirà la
chiave per accedere all’intimità più delicata di alcune pagine di un meno
conosciuto Dmitri Shostakovich, così come potrà domare l’impeto romantico di un
compositore norvegese del tardo ottocento, Johan Halvorsen, capace di dare una
dimensione nuova al finale di una suite di Handel, ottenendo qualcosa capace di
sopravvivere oltre gli schemi formali dettati dalle epoche, in quanto dotato di
un respiro ed una forza speciale che trasforma il procedere per variazioni di
un’antica danza popolare assai cara alla tradizione “classica”, in un prodotto
la cui potenza evocativa diventa paragonabile a quella di un elaborato
sinfonico, nonostante due soli strumenti siano presenti in scena. Questa
riproposizione dell’antico di cui a un certo punto si sente il bisogno fremente
per superare l’esasperazione romantica, è quindi l’occasione più propizia per
un confronto con uno dei giganti del passato, Georg Philipp Temelamann: simbolo
di un comporre “internazionale”, fondatore del “Collegium Musicum”, con cui
porta la musica nella propria Università, mentre era impegnato nei suoi studi
di giurisprudenza. Della sua musica che traghetta il barocco verso il
classicismo, sarà proposta quella dedicata a forme non certo tradizionali, come
quella del concerto per quattro violini. Avendo pienamente accolto, a questo
punto, l’invito ad assumere punti di vista non scontati e tantomeno “statici”,
perseguendo nell’intento di cogliere l’evoluzione nel tempo di forme musicali
che non muoiono con il periodo che hanno reso celebre, ma anzi si evolvono,
manipolate dalle mani sapienti di compositori che hanno saputo dare loro vite
nuove, si scopre che l’arte del contrappunto bachiano può danzare a ritmo di
tango ed adattarsi alla libertà improvvisativa del jazz, come Astor Piazzolla
ce ne dà dimostrazione nella sua “Fuga y misterio”.