Terremoti? Un po’ di chiarezza
Un terremoto può misurarsi attraverso due differenti grandezze

Dopo la mia intervista pubblicata su questo portale web
qualche giorno fa, all’indomani del terremoto in centro Italia del 24 agosto di
quest’anno, sono stato contattato privatamente da alcuni lettori, di cui più di
uno di mia conoscenza, per chiarimenti, scambi di idee ed opinioni, e qualche
critica che ho accettato di buon grado. Confronti di estremo interesse, ma che
mi hanno portato ad una riflessione: c’è la necessità di chiarire alcuni
aspetti meno noti ai non addetti al settore, aspetti che, a mio avviso, dovrebbero
essere oggetto dell’educazione civica e ambientale della popolazione di un
paese evoluto. Cercherò di essere sintetico e chiaro.
Un terremoto può
misurarsi attraverso due differenti grandezze: la Magnitudo e l’Intensità. La Magnitudo di un terremoto è strettamente connessa alla quantità di
energia elastica trasportata da un'onda sismica. Nei primi anni degli anni ’30
del secolo scorso, il sismologo
statunitense Charles F. Richter introdusse il concetto di magnitudo sulla base
di misure effettuate su un particolare tipo di sismografo, ossia da misure
dell’ampiezza del sismogramma registrato da un sismografo standard: lo strumento
di torsione Woods-Anderson. In verità, si parla sia di
Magnitudo Richter (MI) sia di Magnitudo Momento (Mw) che per terremoti di
magnitudo inferiori a 6-7 coincidono, ma ritengo non sia opportuno inoltrarsi troppo
in questo argomento per non creare ulteriore confusione. L’algoritmo proposto
per la MI fa sì che ad un incremento di MI di una unità corrisponda un incremento
di energia prodotta di circa 30 volte. La massima magnitudo misurata ad oggi è
quella del terremoto del Cile nel 1960 ed è pari a 9.5. L’evento principale in
Italia, di magnitudo 7.2, è stato misurato nel 1908 a Messina e Reggio
Calabria. Il più forte terremoto mai verificatosi in Puglia è probabilmente
quello del 30 luglio 1627, quando uno tsunami (maremoto) provocò morti e
distruzione negli abitati di San Severo, Apricena, Lesina, San Paolo di
Civitate, Serracapriola e Torremaggiore. Si parla di una magnitudo di 6.7, ma il dato è riferito ad un periodo
pre-strumentale.
L’Intensità di un terremoto si
valuta dagli effetti prodotti sul territorio; essa si basa sulla dimensione
del danno (edifici, paesaggio) e sulla percezione soggettiva dell'osservatore.
In sostanza, lo
stesso evento sismico si può manifestare in zone differenti con intensità
differente, a seconda dei danni l.s. causati. L’intensità di un terremoto viene valutata con la scala Mercalli,
dal nome del sismologo e vulcanologo italiano Giuseppe Mercalli che nel 1902
presentò alla comunità scientifica internazionale la prima versione della classificazione
dei terremoti secondo gli effetti e i danni che producevano. Successivamente, il fisico italiano Adolfo
Cancani e il geofisico tedesco August Heinrich Sieberg modificarono la scala di
valutazione portandola da 10 a 12 gradi. In questa scala, nota come scala Mercalli-Cancani-Sieberg (MCS), più alto è il grado, più disastroso è il
terremoto.
Andiamo oltre: per Pericolosità Sismica (per gli anglofoni
“Seismic Hazard”) si intende “lo scuotimento del suolo atteso in un sito a
causa di un terremoto” (definizione dell’Istituto Nazionale di Geofisica e
Vulcanologia o INGV). La valutazione della pericolosità
sismica di un sito è quindi uno strumento di previsione del livello di
dannosità dei terremoti attesi. In Italia, in
realtà, la valutazione della pericolosità sismica si basa su un approccio
probabilistico (PSHA, Probabilistic Seismic Hazard
Analysis), ossia nella stima della probabilità che in una
data area ed in un certo intervallo di tempo si verifichi un terremoto
caratterizzato da un’accelerazione orizzontale
massima su suolo rigido (PGA, Peak Ground Acceleration) maggiore di una certa
soglia. La pericolosità sismica si esprime quindi con un parametro numerico in
una scala continua e non fornisce una classificazione. La restituzione finale dei
risultati di quest’analisi probabilistica è la Mappa di Pericolosità Sismica del territorio nazionale, redatta nel 2004 a cura
dell’INGV (http://zonesismiche.mi.ingv.it). Il terremoto del
20 maggio del 2012 in Emilia Romagna ha dimostrato, però, che il classico
approccio probabilistico conduce ad errori di valutazione: l’evento sismico si è verificato,
infatti, in un’area
classificata a “bassa pericolosità sismica”. Ciò induce a pensare che, forse,
un approccio deterministico sarebbe più opportuno. Ma questo è un altro
argomento. A ragion del vero, già nel 2003, con l’Ordinanza
del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3274 del 20 marzo, sono stati emanati i criteri di nuova classificazione sismica del
territorio nazionale, basati sugli studi e sulle elaborazioni con PSHA. Di fatto, con questa
ordinanza sparisce la Zona “non classificata” poiché l’Italia viene
classificata secondo 4 diverse classi di sismicità, dove la zona 1 è quella
corrispondente ad una maggiore pericolosità sismica e la zona 4 è quella a più
bassa pericolosità sismica. A ciascuna zona, inoltre, viene attribuito un valore
dell’azione sismica utile per la progettazione, espresso in termini di
accelerazione massima su suolo rigido (Zona 1=0.35 g, Zona 2=0.25 g. Zona
3=0.15 g, Zona 4=0.05 g). Alle Regioni spetta il compito di aggiornare
l’assegnazione dei comuni alle diverse zone sismiche e di stabilire se imporre
o meno la progettazione antisismica in Zona 4. In Puglia, la classificazione
sismica del territorio regionale più recente risale al 2004, con la Deliberazione della Giunta
Regionale 2 marzo 2004, n. 153 pubblicata sul Bollettino Ufficiale della
Regione Puglia n. 33 del 18-3-2004.
Detto questo, quando si parla di Rischio Sismico si fa riferimento alla “stima del
danno atteso come conseguenza dei terremoti che potrebbero verificarsi in una
data area” (definizione dell’INGV). Il Rischio Sismico, pertanto, dipende dalla
pericolosità dell’area, così come
definita in precedenza, dall’esposizione,
ossia dall’insieme delle vite umane, del patrimonio edilizio,
storico-culturale, ambientale che potrebbe essere
danneggiato da un fenomeno distruttivo, e dalla vulnerabilità degli
edifici e delle infrastrutture dell’area, ossia dalla loro propensione al
danneggiamento in relazione ad un evento sismico. In termini congrui, una zona a pericolosità sismica molto
elevata, ma priva di attività umane, ha un rischio sismico molto basso, mentre
una zona a pericolosità sismica bassa, ma a densità di popolazione elevata o con
costruzioni di qualità scadente e/o di scarsa manutenzione, ha un livello di
rischio sismico molto elevato, poiché anche un evento sismico moderato potrebbe
portare a conseguenze gravi.
Quando parliamo di progettazione è necessario partire da due
considerazioni: 1) l’azione sismica locale dipende dalle caratteristiche
geotecniche (resistenza e deformabilità) del terreno al quale è vincolata
l’opera ingegneristica; 2) La risposta dell’opera ingegneristica alle sollecitazioni di tipo sismico
dipende dai meccanismi di interazione terreno-struttura. Ne consegue che il
punto cruciale nella valutazione del comportamento sismico di un’opera
ingegneristica è la stima corretta dell’azione sismica locale. Quindi, non è
possibile affrontare il problema sulla base di una mera modellazione del
comportamento sismico della singola opera ingegneristica, sia essa strutturale
(edifici, capannoni, monumenti, torri, ponti etc.) o geotecnica (opere di
sostegno, dighe, fondazioni, rilevati, scavi etc.), senza considerare gli
aspetti relativi al territorio, ossia caratteri geologico-stratigrafici,
morfologici e geotecnici. Ora, nella fase progettuale, sia per nuove opere sia
per interventi di miglioramento e/o adeguamento sismico, le maggiori incertezze
riguardano proprio la valutazione dell’azione sismica. Ai sensi del D.M. 14
gennaio 2008 (Norme Tecniche per le Costruzioni, meglio note
come NTC 2008) e della relativa Circolare esplicativa del 2 febbraio 2009, n° 617 C.S.LL.PP. (tanto per cambiare!!), l’azione
sismica di progetto può essere valutata per un determinato periodo di
riferimento dalla stima della risposta sismica locale (RSL), attraverso specifiche analisi
“rigorose” oppure approcci semplificati, basati su cinque categorie di
sottosuolo e sulle condizioni topografiche.
Per
informazioni più dettagliate sulla sismicità e sulla pericolosità sismica del
territorio pugliese, in questi giorni e fino al 18 settembre, vi consiglio di
visitare lo stand divulgativo del Dipartimento di Scienze della Terra e
Geoambientali e del Corso di Laurea in Scienze Geologiche dell’Università degli
Studi Aldo Moro, nell’area della Fiera del Levante “La Puglia per la
ricostruzione” allestita dalla Regione Puglia presso il Nuovo Padiglione –
Modulo M1. Qui sarà anche possibile osservare una stazione sismica perfettamente
funzionante. L’iniziativa si concluderà domenica 18 settembre alle ore 11.30
con un workshop aperto a tutti gli interessati.