
Chiamiamolo Rosa, recuperiamo una coerenza
linguistica. Stop con lo scimmiottare i francesi con un languido Rosè oppure
con il participio passato di un verbo che non esiste, l'abusato Rosato. Se
al ristorante si chiedono un Rosso o un Bianco, iniziamo a chiamare
il Rosa come mamma Italia vorrebbe. È più o meno la provocazione giunta
dai due giorni che a Lecce hanno portato i vini rosati da tutti il mondo e
promossi per il quinto anno consecutivo da de Gusto Salento l'associazione dei
produttori di Negroamaro che per 48 ore ha reso la capitale del Barocco, e
orami di fatto Capitale dei Rosati, il centro del mondo della viticoltura
internazionale.
Recuperare l'identità - insomma più italianità - metterci la faccia raccontando
l'unicità delle storie di famiglia o di campagna che si celano dietro le
etichette, prendere coscienza del valore dei propri prodotti – i rosati
francesi escono in media a 48 dollari a bottiglia negli USA contro i 18 degli
italiani – pensare a questo prodotto lavorando sul target finale – generazione
X o Y, la prima consuma vini al bicchiere la seconda se li porta a casa -,
paesi obiettivo e senza trascurare canali di comunicazione e strumenti di
divulgazione. Insomma, se si è parlato di cosa accade oltreoceano la lista
delle cose da fare è lunga ma non impossibile. E se, come mostrato dalla
giornalista Laura Donadoni, su Wine Spectatornel servizio di copertina sui
vini rosati dal mondo su 12 etichette il 90% sono francesi e il resto spagnole,
ecco che istituire una cabina di regia, come accade in Francia, e lavorare per
una promozione strategica e condivisa che punti al consolidamento e al
posizionamento del brand vino italiano all'estero diventa quasi una emergenza
commerciale per andare a scalare le classifiche di vendita. Sì, appunto, quelle
di appeal sui mercati, poiché le canoniche classifiche che assegnano premi ai
vini magari associando medaglie ad etichette con riferimenti esclusivamente in
italiano e senza un remind on linee nella lingua universale, superati i
confini del Bel Paese, rischiano di diventare assolutamente inutili e non
spendibili, nonostante la faticosa ansia da ottenimento di questo o di quel
riconoscimento.
Un dibattito stimolante e interessante nel corso del quale sono
intervenuti Steve Kim, managing director di Vinitaly International, Jean
Marc Ducasse,ideatore di Pink rosè festival, Ylenia Lucaselli, Global
advisor della Southern Glazer's Wine and Spirits, che commercializza negli
USA ogni anno 600 milioni di bottiglie italiane e la giornalista Laura
Donadoni. Presenti anche i delegati dei consorzi di Tutela
di Bardolino, Valtènesi, Vini d'Abruzzo, Castel del Monte e Salice
Salentino, che hanno sottoscritto un Patto di Intenti per promuovere insieme i
vini rosati nel mondo e una delegazione del Trentodoc.
Il titolo di Ambasciatore del Vino Rosatoè stato consegnato al
senatore Dario Stefànodall'associazione deGusto Salento che ha voluto
premiare l'impegno storico di Stefàno che da assessore alle Politiche
Agroalimentari della regione Puglia prima e da senatore della Repubblica poi, non
ha mai fatto mancare il suo sostegno alla promozione dei rosati.
Il Castello Carlo V si è prestato, dunque, anche quest'anno come cornice
perfetta per la folla di appassionati che nelle due serate hanno gremito le
antiche sale declinate tra rosati internazionali; più di 2500 winelovers tra
cui tantissimi stranieri che si sono affacciati fino a tarda sera per degustare
un calice di vino e riscoprire uno degli scrigni più belli della storia
salentina per la soddisfazione evidente dei rappresentanti della Regione
Puglia, del sindaco Carlo Salveminie dell'assessore alle Attività
Produttive del comune di Lecce Paolo Foresio che non ha perso
occasione per confermare l'interesse del comune di Lecce a continuare a
sostenere iniziative di promozione di alto respiro.